sabato 30 luglio 2016

VIRGINIA WOOLF: l'ultima lettera d'amore

"Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi"



Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.
V.”

Il mattino del 28 Marzo 1941, con queste tristi, ma intense parole, scritte su un biglietto appoggiato sulla mensola del camino, Virginia Woolf dà il suo ultimo saluto al marito Leonard, poco prima di uscire di casa, con il suo bastone da passeggio, per arrivare lungo il fiume dove, di lì a poco, si sarebbe lasciata annegare, infilandosi delle grosse pietre nella tasca della giacca. La morte, da lei definita “l’unica esperienza che non descriverò mai”, viene scelta per l’ultima e definitiva volta.

Leonard in un libro scrive: “Quando non riuscii a trovarla né in casa né in giardino, fui certo che fosse andata al fiume. Attraversai di corsa i campi e quasi subito trovai il suo bastone da passeggio posato sull’argine. Dopo averla cercata per un po’, tornai a casa e chiamai la polizia. Il suo corpo fu recuperato tre settimane più tardi, dopo che alcuni bambini lo avevano visto galleggiare nel fiume... Seppellii le ceneri di Virginia ai piedi del grande olmo nel prato che si affaccia sopra il campo e le marcite, il Piccolo podere. Là avevano intrecciato i loro rami due grandi olmi che avevamo chiamato Leonard e Virginia. Ai primi di gennaio del ‘43 uno dei due fu abbattuto da una forte burrasca di vento...”.

giovedì 28 luglio 2016

La dama con l'ermellino di Leonardo



La dama con l'ermellino sicuramente è uno dei quadri più popolari, acclamati e famosi del grandissimo Leonardo da Vinci. La sua realizzazione risale al 1489-1490, e sono davvero molti i significati che sono nascosti all’interno di questo quadro. La donna rappresentata, o per meglio dire, la donzella, data la sua giovinezza, èCecilia Gallerani, l’amante del famosissimo Ludovico il Moro.
In “La dama con l’ermellino“, l’animale in questione, ovvero lo stesso ermellino che si trova tra le braccia di Cecilia Gallerani è davvero molto interessante, infatti non è stato scelto a caso. L’ermellino rappresenta infatti la purezza, dato anche il suo colore chiarissimo che va in netto contrasto con lo sfondo scuro. Inoltre l’ermellino è il simbolo dell’ordine a cui apparteneva Ludovico il Moro e tra l’altro il nome in greco dell’ermellino, ovvero “galè” è uguale al cognome della donna.
Il dipinto è oggi conservato al Czartoryski Muzeum di Cracovia, dopo aver subito un restauro per rimediare ad alcuni danneggiamenti subiti durante la II guerra mondiale. Pur essendo stato nascosto nei sotterranei di un castello infatti, il dipinto venne trovato dai soldati nazisti che avevano invaso la Polonia, e quando fu ritovato recava in un angolo l'impronta di un tallone.

Dai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era anticamente dipinta una finestra; ecco il motivo di quella luce così intensa e dall'effetto dei riflessi che noi oggi vediamo. 

mercoledì 27 luglio 2016

Cunizza da Romano una donna libera nel Medioevo

"A chi chiede cortesemente amore sarebbe gran villania non concederlo"



Cunizza da Romano nacque alla fine del sec. XII, forse nel 1198. Non se ne hanno notizie anteriori al 1222, quando andò sposa a Rizzardo di San Bonifacio, signore di Verona: un matrimonio politico che avrebbe dovuto suggellare la ristabilita concordia dei da Romano con i San Bonifacio, e fu invece coinvolto nella subito rinnovata ostilità tra le due famiglie per il possesso di Verona. In questo quadro va collocato l'avvenimento che sollevò allora grande clamore e lasciò tanta eco intorno ai suoi due protagonisti: il ratto di Cunizza a opera di Sordello.
Cunizza, su istigazione del padre e dei fratelli, fu rapita dal poeta di corte Sordello da Goito che la ricondusse alla casa paterna. Cunizza se ne innamorò ardentemente e ciò causò la cacciata dalla corte trevigiana di Sordello , che, per sottrarsi alle ire del marchese inferocito, riparò in Provenza.
Cunizza, dal canto suo, si consolò molto presto con un cavaliere trevigiano di nome Enrico da Bovio. Morto Bovio, Cunizza sposò Naimerio Ponzio dei conti di Breganze. Morto anche questi, Cunizza, passò ad altre nozze con un veronese. Visse gli anni della maturità a Firenze dove lo stesso Dante la conobbe, ormai dedita a una vita di espiazione e di carità. Ne parla nel IX Canto del Paradiso, collocandola nel cielo di Venere. Il suo personaggio compare anche nell'opera Oberto, Conte di San Bonifacio, prima di Giuseppe Verdi.
Nel 1279 redasse un testamento in cui lasciava i suoi beni ai figli del conte Alessandro Alberti; dopodiché, di lei non si hanno più notizie. Gli antichi commentatori la definiscono "figlia di Venere" attribuendole molti amanti e sono concordi nel dipingere Cunizza come una donna lussuriosa a tal punto che, come lei stessa diceva, a chi le avesse chiesto cortesemente amore, sarebbe stata gran villania non concederlo.

martedì 26 luglio 2016

Il Cavaliere Blu

  August Macke


 August Macke (1887-1914) è stato un pittore tedesco, uno degli esponenti principali del movimento espressionista tedesco Der Blaue Reiter (Il cavaliere blu). L’artista svolse la sua attività in un periodo di grandi cambiamenti dell’arte europea, ove stava crescendo il rifiuto dei canoni accademici – ma anche di quelli assai più liberi come, ad esempio, i modi impressionisti – e la voglia di una rinnovata forma di espressività, che modificarono in breve tempo la cultura dell’intero continente. Come grande contributore del suo tempo, Macke seppe integrare la sua pittura scegliendo gli elementi d'avanguardia più consoni alla sua creatività espressiva.
     Nel 1910 conosce Franz Marc e, attraverso la sua amicizia, incontra Kandinsky e per un po' di tempo condivide gli interessi mistici e simbolici del Gruppo Der Blaue Reiter (Cavaliere azzurro), realizzando numerosi dipinti nei quali l'armonia dei toni, intensi e luminosi, sono fonte di un dinamismo rapido di riflessi, sfaccettature, bagliori improvvisi, con intenzioni, per certi versi, analoghe a quelle del futurismo.
   L'incontro con Robert Delaunay, avvenuto nel 1912 a Parigi, rappresentò per Macke una sorta di rivelazione. Il cubismo cromatico di Delaunay influenzò la produzione artistica di Macke da lì in avanti. Le sue Vetrine possono essere considerate un'interpretazione personale delle Finestre di Delaunay. L'atmosfera esotica della Tunisia, dove Macke si recò nel 1914 con Paul Klee e Louis Moilliet, fu fondamentale per la creazione dell'approccio luminista del suo periodo finale durante il quale produsse una serie di opere ora considerate dei capolavori.
     Il pittore fu ucciso in battaglia, all'età di 27 anni, nel settembre del 1914 sul fronte franco-tedesco, la guerra è una grande mangiatrice di uomini e di talenti, lasciandoci, come appunti del suo ultimo viaggio, acquerelli splendidi e gioiosi, di solare felicità, opere ormai considerate capolavori.

lunedì 25 luglio 2016

DOMIZIANO: L'IMPERATORE DELLE MOSCHE

BELLO E BEN PROPORZIONATO, SPECIE DA GIOVANE”



     Tito Flavio Domiziano è stato un imperatore romano dal 14 settembre 81 alla sua morte il 18 settembre del 96, con il nome di Cesare Domiziano Augusto Germanico. Secondo Svetonio «Domiziano era di alta statura, con un'espressione modesta nel volto che spesso arrossiva, occhi grandi ma miopi. Era bello e ben proporzionato, specie da giovane.» Sulla sua dieta ci racconta che «dopo la colazione del mattino dove mangiava di buon appetito, per il resto della giornata spesso non prendeva altro se non una mela [...] se dava frequentemente sontuosi festini, li faceva servire alla svelta, senza prolungarli oltre il tramonto».
Un curioso aneddoto sui passatempi preferiti di Domiziano è fornito da Aurelio Vittore: «Per qualche ora teneva lontani tutti e si metteva a inseguire battaglioni di mosche». Su questo fatto ritorna anche Svetonio, scrivendo: «Vibo Crispo, interrogato da un tale se ci fosse qualcuno con l'imperatore, gli rispose: - No, neppure una mosca». 

     Nonostante avesse cercato di migliorare le condizioni economiche dei sudditi e abbellì Roma con una lunga stagione di lavori pubblici – basta ricordare lo Stadio di Domiziano, oggi piazza Navona a Roma, primo esempio di Stadio di atletica in muratura costruito a Roma, In politica interna, invece, Domiziano si dimostrò assai diverso dal fratello Tito, soprannominato delizia del genere umano”. Domiziano aveva un carattere chiuso, autoritario e diffidente. Amava farsi chiamare dominus et deus («signore e dio») e volle governare con pugno di ferro, attraverso una ristretta cerchia di collaboratori lasciando il senato il più possibile ai margini. In questo modo si rese estremamente impopolare. Formatasi una congiura nello stesso palazzo imperiale, con la complicità di due prefetti del pretorio e della stessa moglie Domizia Longina, che aveva costretto al divorzio da Lucio Elio Lamia per sposarla, Domiziano fu ucciso. A causa della damnatio memoriae si sono conservati solo pochi suoi ritratti: fra i più belli è il busto dei Musei Capitolini. Caratteristiche salienti dell'iconografia di Domiziano sono l'acconciatura a corta frangia piegata intorno all'alta fronte, il labbro inferiore rientrante, le guance piene sbarbate.

domenica 24 luglio 2016

CARLO CRIVELLI l'amore proibito



     La conoscenza della vita di Carlo Crivelli è legata a scarsi documenti che lo riguardano e a molte firme da lui apposte sulle sue opere che permettono di ricostruire i suoi spostamenti. Nasce a Venezia tra il 1430 e il 1435. Il 7 marzo 1457, fu condannato a sei mesi di carcere e a duecento lire di multa, perché, innamorato di Tarsia, moglie del marinaio veneziano Francesco Cortese, la rapì dalla casa del fratello di Francesco e la tenne nascosta per molti mesi, avendo con lei rapporti carnali con disprezzo di Dio e dei sacri vincoli del matrimonio. La vicenda del concubinato con la moglie di un marinaio, evidentemente assente da lungo periodo, destò scandalo e fu in tutta probabilità il motivo per cui l'artista si allontanò, senza fare mai ritorno, dalla sua città natale.

     E' nelle Marche che prende forma viva e concreta il suo percorso di artista, e nelle Marche rimane fino alla morte, lavorando tra Ascoli Piceno, Fermo e Camerino. Inserito nel panorama artistico della seconda metà del ‘400, il pittore dalmata sembra riflettere a pieno lo spirito del tempo, ossia l’oscillazione tra le novità prospettiche che si andavano affermando e l’espressionismo di quel periodo, mentre permangono in lui residui di matrice tardogotica, fatti di arabeschi e tratti dorati. Solo il disegno preciso e pulito dei volti, l'aggiunta di ghirlande di frutta e fiori rivelano l'appartenenza del pittore al primo Rinascimento nell'arte italiana. Il risultati del connubio Gotico-Rinascimentale produce uno stile originale con figure rivestite di abiti dalla struttura rigida, ma ornati da gioielli e con visi dipinti con delicatezza.
    Si sposò in una data imprecisata con una Iolanda, forse abruzzese di Atri dalla quale ebbe i figli Diana e un maschio che morì nell'agosto 1487; i due adottarono anche una bambina, Biasiola.
L'interesse per il Crivelli è di origine nordica, inglese, ed è legato al gusto romantico del ritorno al "primitivi". L'amore per il pittore - quasi una scoperta - fu enorme e la critica cominciò ad interessarsi di lui. Aveva fino ad allora subito una certa eclisse nella storiografia artistica. Ignorato da Vasari, menzionato frettolosamente dagli storici veneziani del Seicento, si dovette aspettare la fine del Settecento per avere un lucido giudizio sulla sua opera, non a caso da parte di un personaggio originario proprio delle terre in cui lavorò Crivelli, l'abate Luigi Lanzi. Egli scrisse: «È pittor degno che si conosca per la forza del colorito più che pel disegno; e il suo maggior merito sta nelle piccole istorie, ove mette vaghi paesetti, e dà alle figure grazia, movenza, espressione...».
La data di morte del pittore non è certa, ma si pensa sia avvenuta a Camerino intorno al 1495.

sabato 23 luglio 2016

LA DONNA PIU' BELLA DEL RINASCIMENTO


La Sans Par - Simonetta Vespucci





Di Simonetta Vespucci, nobildonna genovese e moglie di Marco Vespucci, si racconta che la sua bellezza fosse conosciuta in tutta la signoria tanto da essere considerata la donna più bella di Firenze e oggi la più bella del Rinascimento. Appena a Firenze la coppia fu subito accolta alla corte di Lorenzo e Giuliano, dove il secondogenito de’ Medici s’invaghì della giovane ragazza. Fu in un torneo cavalleresco che Giuliano dimostrò il suo amore per Simonetta vincendo alla giostra un dipinto raffigurante la fanciulla e sul quale era riportata la frase “La sans par”, la senza paragoni.
Tuttavia Simonetta morì di tisi all’età di soli 23 anni nel 1475: ciò vuol dire che La nascita di Venere venne dipinta da Botticelli nove anni dopo la scomparsa della sua modella. Tale atto fu per la corte de’ Medici il modo di ricordare la donna più bella di Firenze e renderla l’emblema della bellezza rinascimentale per eccellenza. Il dipinto venne infatti protetto da Lorenzo il Magnifico, che lo sottrasse alle repressioni della Chiesa verso i dipinti pagani.
Alcuni studiosi ritengono che lo stesso Sandro fosse innamorato di Simonetta. Per volere dell’artista ora i due giacciono insieme nella chiesa d’Ognissanti a Firenze.

IL MARESCIALLO DEL CONCLAVE


Il clavigero, dal latino "colui che porta le chiavi", è colui che custodisce e conserva tutte le chiavi dei Musei del Papa. Nei musei vaticani ci sono circa 3000 chiavi: trecento vengono usate in apertura e chiusura per i vari reparti, le altre chiavi vengono custodite nel bunker delle chiavi, che si trova nel Cortile della Pigna in Vaticano, e usate settimanalmente tutte per verificare che le serrature e le stesse chiavi siano funzionanti.
Il clavigero, una figura che esiste da sempre, è l'erede del maresciallo del Conclave, ovvero colui che sigillava tutte le porte intorno alla Cappella Sistina per far sì che rimanesse il silenzio e il segreto di tutto ciò che avveniva all'interno del Conclave, fino alla fumata bianca.
Niente a che vedere con le pesanti chiavi di ferro. Ogni reparto dei Musei, infatti, ha una numerazione sequenziale: ad esempio, il mazzo che apre il museo gregoriano va dalla chiave numero 200 alla 300; quello che apre la Pinacoteca dalla numero 300 alla 400; il Museo etrusco, invece, viene aperto dalle chiavi da 500 a 600, e così via per i dodici reparti.
Tutte le mattine il clavigero si reca alle 5.45 alla Gendarmeria Vaticana dove vengono prelevate le chiavi. La chiave numero 1 è quella che attualmente apre l'uscita dei Musei.
La storia del clavigero, insieme curiosità e aneddoti sulla Cappella Sistina, è così particolare da meritarsi un libro, il volume realizzato da Sandro Barbagallo, curatore del Reparto collezioni storiche dei Musei Vaticani.
Lo stesso san Pietro è chiamato il “clavigero del cielo”.