L'opera venne ritrovata nel 1506 a Roma scavando in una
vigna sul colle
Oppio,
nelle vicinanze della Domus
Aurea di
Nerone.
Allo scavo, di grandezza stupefacente secondo le cronache dell'epoca,
assistettero di persona, tra gli altri, lo scultore Michelangelo
e
l'architetto Giuliano
da Sangallo.
Questi era stato inviato dal papa a valutare il ritrovamento. Fu
subito identificato con il Laocoonte descritto da Plinio come il
capolavoro degli scultori di Rodi Agesandros, Athanodoros e
Polydoros.
Ancora
molto dibattuta dagli studiosi è la cronologia del capolavoro
marmoreo, per il quale sembra ora prevalere una datazione intorno al
40-30 a.C.
Plinio scriveva: “...Laoconte, che è nel palazzo dell'imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell'arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.» (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 37).
Plinio scriveva: “...Laoconte, che è nel palazzo dell'imperatore Tito, opera che è da anteporre a tutte le cose dell'arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti.» (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI, 37).